martedì 1 settembre 2009

I tagli ai precari migliorano la qualità della scuola?


Dalle lettere al direttore di Avvenire del 29/8/2009: SCUOLA / 1 IL PROBLEMA DEL PRECARIATO

Caro Direttore, nella classifica delle università euro­pee il primo ateneo italiano è l’Uni­versità di Bologna, che si piazza al 78° posto. Nella top ten, 8 sono del Regno Unito, una della Svizzera e una fran­cese. Stracciamoci pure le vesti per i cervelli che se ne vanno via a causa del sistema baronale; prendiamocela pu­re con i fondi che vengono dati alle u­niversità italiane e che sono notevol­mente inferiori a quelli di altri Paesi, ma qui è una questione di sistema che, a mio avviso, non funziona. Mentre tutto sta crollando e anche le compe­tenze che vengono date dalla scuola superiore (della quale non si pubbli­cano classifiche, forse per vergogna), si dimostrano inadeguate a un Paese progredito, l’unica cosa che pare inte­ressare è la stabilizzazione dei preca­ri. Forse chi dovrebbe occuparsi del funzionamento dell’istruzione in ge­nerale non si sta rendendo conto che se altrove, nella fattispecie nel mondo anglosassone, le cose funzionano, il merito è della completa precarizza­zione del corpo docente. Ognuno è pe­rennemente in gioco e può essere ri­mosso in ogni momento se si dimostra inadatto all’insegnamento. Io credo che «il posto a vita» nell’insegnamen­to abbia portato l’Italia agli ultimi po­sti nella qualità: sarebbe il caso di a­bolirlo, anche se questo potrebbe por­tare alla chiusura di scuole popolate da personale non all’altezza. Alle qua­li, tuttavia, non possiamo certo affi­dare la preparazione delle generazio­ni future.

Aldo Manieri


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Una breve risposta appassionata da parte di un docente precario che presto perderà il lavoro che ama.

La riflessione di Aldo Manieri potrebbe essere un utile spunto di riflessione se non contenesse, però, alcune affermazioni inesatte ed imprecise.

1) E' noto a tutti gli operatori della scuola che esistono numerose classifiche internazionali che si pongono proprio l'obiettivo di comparare l'efficacia e la validità dei sistemi formativi dei principali paesi, compresa quindi la scuola superiore (si pensi, ad esempio al test "Pisa"). I risultati ci dicono incontestabilmente che in molte regioni italiane, ad esempio nell'area del nordest, la nostra scuola superiore presenta livelli di assoluta eccellenza se comparata con quelle degli altri paesi europei. Nella maggior parte delle regioni, però, i nostri risultati non sono, come sostiene Manieri, all'"altezza di un paese progredito". Questo tuttavia significa proprio che non è affatto il "sistema" scolastico ad essere inadeguato, ma piuttosto la sua concreta applicazione in alcune realtà. Invece di "smontare" il nostro sistema formativo e ridurlo all'osso, dovremmo esportare le pratiche di eccellenza presenti in alcune regioni all'intero paese.

2) Nessuno di noi intende affermare che la scuola italiana va bene così com'è. Ma quando un sistema non funziona la cosa peggiore è pensare di migliorarlo lasciando tutto nello stesso modo e limitandosi solo a tagliare. Se la mia caldaia non è efficiente e consuma troppo, di norma chiamo un tecnico, che sa bene dove mettere le mani, per farla sistemare; se invece mi limito a ridurre la quantità di gas o di combustibile in entrata, di certo non miglioro la mia situazione, ma rischio realisticamente il congelamento.

3) I tagli alla scuola non colpiscono i docenti incompetenti o coloro che non svolgono correttamente il loro compito. Il criterio per cui un docente perde il suo posto non ha nulla a che fare con il merito effettivo, ma solo con la sua condizione contrattuale. A perdere il posto saranno, in breve, i precari. Il problema però è che i precari sono solitamente i docenti:

a) più titolati (hanno alle spalle corsi di formazione, di specializzazione, master, dottorati, etc.)

b) più aggiornati

c) più vicini agli studenti (anche solo per ragioni anagrafiche) e dunque in grado instaurare più facilmente un rapporto positivo con loro (ed è noto a tutti quanto conti il rapporto con il docente nella trasmissione del sapere)

d) più motivati (perché negli anni '70 e '80 fare l'insegnante poteva essere un lavoro di ripiego ed un'occupazione facile da ottenere; oggi, invece, chi sceglie di intraprendere la strada dell'insegnamento lo fa quasi sempre con uno visibile spirito di sacrificio ed una passione che traspare anche solo dal modo in cui parla della sua materia o guarda i suoi allievi).

Se la scuola italiana secondo voi non funziona bene, chiedo, è opportuno tagliare proprio le energie più giovani e vitali?

4) La carriera dei docenti nel mondo anglosassone non è affatto una carriera "precaria". Chi conosce la realtà inglese sa bene che si tratta di un percorso precario al suo avvio, ma destinato ad una progressiva stabilizzazione. Il primo contratto dura un anno, poi di più, poi di più, etc. sino a quando il docente diventa un elemento fondamentale ed imprescindibile dell'istituto scolastico per cui lavora. Se la scuola italiana non funziona è, invece, anche proprio perché è molto più precaria rispetto a quella anglosassone. Provate a chiedere ai vostri figli quanti docenti hanno cambiato nel corso delle superiori o delle medie: la situazione è da brivido. Qualche hanno fa ho conosciuto una terza media che in tre anni aveva cambiato ben undici docenti di matematica. Non credo proprio che questa "completa precarizzazione del corpo docente" sia una ricetta utile per l'apprendimento dei nostri ragazzi.
Altra cosa è, invece, accettare il fatto che un docente che non compie correttamente il suo lavoro possa essere (anzi debba essere) licenziato. Su questo punto qualsiasi persona dotata di buon senso concorderebbe; ma ciò non ha nulla a che fare con la "precarietà", che colpisce indiscriminatamente, senza guardare al merito e alle capacità realmente possedute.

Per questo la nostra protesta non è soltanto la strenua difesa dei nostri posti di lavoro, un lavoro che amiamo e al quale abbiamo dedicato tutta la nostra vita; il suo obiettivo è anche, inevitabilmente e prioritariamente, tutelare la qualità del sistema scolastico italiano, per garantire alle future generazioni una formazione più ricca e qualificata, che consenta loro di affrontare con serenità e fiducia le sfide dell'avvenire.